Considerazioni sulla selezione del cane di razza
del dr. Ferdinando Bassi
– articolo pubblicato nel giornalino di febbraio 2005 –
Il convegno tecnico svoltosi a Bagnara di Romagna a conclusione del Raduno dell’ottobre scorso è stato molto interessante, ha visto la presenza di numerosi allevatori ed appassionati provenienti anche da diversi paesi europei e si è concluso con una discussione molto partecipata che ha toccato alcuni temi di grande importanza come ad esempio le patologie ereditarie e come queste vadano considerate nella selezione. E’ un tema assolutamente centrale nell’attività di un club come il nostro e penso che meriti un approfondimento ed uno scambio di idee.
Un cane è fatto di carattere, di morfologia e di salute, questi elementi sono tutti estremamente importanti e vanno attentamente considerati quando si tratta di scegliere i soggetti da utilizzare in riproduzione, non credo che gli aspetti sanitari siano più importanti degli altri (mi interessa poco avere un cane perfettamente sano se a quel punto non è più un lagotto, il mio obbiettivo è quello di avere un lagotto sano) e non condivido la scelta fatta in alcuni paesi dove si arriva all’esclusione di un soggetto dalla riproduzione solamente perché è portatore in una certa misura di una patologia potenzialmente trasmissibile.
Vista la complessità dei caratteri da analizzare nella scelta dei riproduttori non penso che questo possa essere fatto con schemi semplici e rigidi perché, nel momento in cui si decide l’esclusione di un soggetto dalla riproduzione viene eliminato tutto quello che porta di negativo ma anche di positivo e questo comporta il rischio di perdere più di quello che si può guadagnare, riducendo in modo irreparabile il patrimonio genetico a cui si può attingere per selezionare una razza.
Se ad esempio cominciamo ad escludere tutti i lagotti con displasia “C”, a maggior ragione, a mio avviso, dovremmo escludere quelli con problemi di carattere (timidezza/aggressività), quelli che non arrivano ad un minimo di uniformità morfologica compatibile con lo standard o che non hanno un minimo di attitudini per il lavoro, a questo punto potremmo aver depauperato talmente il patrimonio genetico disponibile da non essere più in grado di mantenere la razza. Questo rischio è maggiore quanto più e limitato il numero dei soggetti a cui si può attingere in partenza, inoltre le decisioni vanno prese considerando la situazione complessiva della razza: se un certo difetto è presente in un numero percentualmente elevato di cani, procedere con scelte drastiche di esclusione potrebbe avere un impatto troppo pesante.
E’ poi del tutto incomprensibile che per arrivare a stabilire la possibilità di utilizzare o meno un certo cane in riproduzione si utilizzi un metodo estremamente grossolano come il solo esame delle caratteristiche morfo-funzionali dello stesso soggetto. Se noi esaminiamo un cane, anche nel modo più approfondito, possiamo avere un’idea solo del suo fenotipo (aspetto esteriore di un individuo dato dall’espressione di una parte dei suoi caratteri genetici) e da questo si possono fare solo considerazioni parziali sul genotipo (caratteristiche genetiche) che invece è la parte che ci interessa di più, infatti per valutare le potenzialità riproduttive di un soggetto a noi interessa conoscere tutti i caratteri genetici di cui è portatore e non solo quelli che sono espressi.
In tutte le specie di interesse zootecnico la valutazione dei riproduttori si basa su metodi che prendono in considerazione le caratteristiche dei discendenti di un determinato soggetto (progeny test), in questo modo si cerca di valutare quanto un individuo può effettivamente trasmettere alla propria prole. Indirizzarsi verso questo tipo di ottica mi sembra il minimo nel momento in cui si vogliono fare scelte così importanti.
Se io vedo un cane che va bene a tartufi posso pensare di utilizzarlo in riproduzione, però solo dopo aver valutato le caratteristiche di un certo numero di figli sarò in grado di dire se si tratta di un buon riproduttore oppure no e lo stesso discorso si può fare per un campione di bellezza.
Inoltre aumentando il numero dei caratteri che si vogliono tenere in considerazione ai fini della selezione, diventa sempre più difficile definire in modo schematico le possibili scelte, se pensiamo all’insieme dei caratteri morfo-funzionali per cui selezioniamo i nostri cani vediamo che questi sono molto più numerosi di quelli su cui è basata la selezione di un bovino o di un suino da carne e questo ci rende le decisioni molto più complesse.
Io penso che gli allevatori debbano essere liberi di cercare il materiale genetico più adatto ai loro progetti di selezione ma che debbano operare le loro scelte con grande responsabilità e cautela, facendo dei controlli accurati sulla qualità complessiva dei prodotti dell’allevamento.
In Italia sarebbe necessario almeno rendere obbligatorio, per i soggetti abilitati alla riproduzione, un controllo dal punto di vista caratteriale, morfo-funzionale e per le patologie più importanti per ciascuna razza, solamente dopo aver raccolto ed analizzato una grande quantità di dati si potrebbe arrivare ad indicazioni vincolanti sui livelli minimi da utilizzare. Un primo passo in questa direzione potrebbe essere l’introduzione di un pedigree diverso per i soggetti selezionati che l’E.N.C.I. sta cercando di adottare. Verrà rilasciato ai cani che hanno superato una serie di verifiche stabilite in base alle caratteristiche di ciascuna razza ed attesterà il possesso, da parte di quel soggetto, di una serie di caratteri che ne confermano la qualità. Anche qui restiamo sul terreno di una semplice valutazione fenotipica ma può essere uno strumento interessante per raccogliere dei dati statisticamente importanti sullo stato di una razza.
In conclusione credo che non ci siano scorciatoie semplicistiche ma che la selezione vada operata studiando la razza e le linee di sangue, facendo scelte responsabili e soprattutto mettendo sempre in discussione i risultati delle nostre scelte.